Nonostante 25 anni di risultati favorevoli nel trattamento della dipendenza da eroina, il metadone rimane ancora un farmaco controverso (4). Molte persone ritengono che non sia possibile fare programmi riabilitativi usando il metadone come ingrediente del programma, altre accettano il metadone solo nella fase iniziale del trattamento, per passare poi alla parte nobile della
terapia, altri ancora lo relegano nella cosiddetta «riduzione del danno».
Comunque sia, nessuno certamente ritiene che i tossicodipendenti da eroina non siano persone a «rischio»: a rischio per la salute fisica (in special modo le overdose e le malattie trasmesse per i.v.), per quella psichica, per la integrazione sociale. Qualcuno ritiene che questi rischi possano aumentare in chi assume metadone e vi è un gran discutere sui dosaggi da utilizzare, sui tempi di trattamento e su altri aspetti legali delle terapie sostitutive (si può o no condurre autoveicoli se si è in trattamento con metadone, etc). Facendo un poco di ironia su un problema così grave si può affermare che questi dibattiti riflettono essenzialmente il «misentendu» sul razionale farmacologico del trattamento metadonico. Tuttavia, gli effetti farmacologici del metadone e la mancanza di effetto euforizzante del metadone nei pazienti in mantenimento metadonico sono fenomeni certi dal punto di vista scientifico. In altre parole nonostante che istanze morali, politiche, economiche e pragmatiche tendano a complicare la vita di chi, paziente o operatore sanitario, utilizza il metadone nell'organizzare programmi terapeutici per eroinomani, il corpo delle conoscenze scientifiche
su questo farmaco è inequivocabile.
Il metadone è un farmaco narcotico che possiede una serie di azioni farmacologiche simili a quelle della morfina. Sul Sistema Nervoso Centrale la morfina provoca sonnolenza, ma anche depressione respiratoria fino alla morte. Provoca anche analgesia, euforia, soppressione del riflesso della tosse, riduzione del diametro pupillare, nausea e vomito, aumento delle secrezioni nel tratto respiratorio, costipazione, sudorazione e prurito. Alcuni di questi effetti possono essere prodotti da altre sostanze, ma solo le sostanze che li provocano tutti insieme sono dette narcotici. Qualcuno potrebbe chiedersi come mai si diventa dipendenti da una sostanza che provoca anche effetti spiacevoli come la nausea ed il vomito. Infatti riprovare una sostanza che rende euforici è un'azione comprensibile, lo è meno se gli effetti della sostanza sono spiacevoli. La risposta è molto semplice: gli eroinomani non avvertono più la nausea ed il vomito, quando assumono eroina, per un fenomeno farmacologico che è detto «tolleranza».
Ripetute somministrazioni di un narcotico producono uno stato di tolleranza all'effetto stesso del narcotico. Questo lo sanno bene i pazienti terminali con dolore, nei quali dopo ripetute somministrazioni di narcotici l'effetto analgesico non può più essere raggiunto. Nei tossicomani, poiché la tolleranza ai vari effetti dei narcotici non si instaura tutta assieme può accadere, e di fatto accade, che gli eroinomani sviluppino tolleranza agli effetti spiacevoli degli oppiacei conservando la sensibilità agli effetti euforici e a quelli deprimenti il centro del respiro. Per questo motivo non hanno più nausea e vomito, ma possono sperimentare uno stato di euforia e andare incontro a morte per overdose. Un secondo aspetto farmacologico importante dei farmaci ad azione narcotica è che la tolleranza sviluppata all'azione analgesica della morfina si applica all'azione analgesica di altre sostanze narcotiche. In questo modo i pazienti terminali diventati tolleranti all'azione antalgica della morfina, non potranno utilizzare contro il dolore, altri farmaci narcotici come la codeina o il metadone. Allo stesso modo chi nella strada è diventato tollerante all'eroina lo è anche nei confronti della morfina o del metadone. La terza ed ultima considerazione farmacologica è quella che nonostante il livello di tolleranza sia definibile come quella concentrazione di sostanza nel cervello per la quale si può avere l'azione farmacologica (euforia), a volte questa concentrazione deve essere così elevata che di fatto non è raggiungibile e l'azione farmacologica non può essere avvertita dal soggetto. Un esempio banale, per farmaci ad azione non narcotica, è rappresentato dai decongestionanti nasali. All'inizio danno benessere poi si
sviluppa la tolleranza e malgrado l'utilizzo di grande quantità del farmaco il soggetto non riesce più a decongestionare le mucose nasali. La stessa cosa accade per la sensibilità al dolore con i narcotici: ad un certo punto il dolore persiste anche se le dosi di analgesici diventano sempre maggiori.
Il rovescio della medaglia della tolleranza è il fenomeno della dipendenza. Se è vero che senza una concentrazione di narcotici superiore al livello di tolleranza non è possibile avvertire l'euforia (che è l'effetto principale ricercato da chi usa eroina), è anche vero che se la concentrazione della sostanza è inferiore al livello di dipendenza il soggetto esperimenta sintomi opposti a quelli ricercati (la sindrome di astinenza). Se la concentrazione è compresa al di sotto del livello di tolleranza ed al di sopra di quello di dipendenza il soggetto non ha sensazioni psichiche abnormi. In altre parole si sente perfettamente normale. Per quanto appena detto un soggetto dipendente da eroina può essere trattato con metadone e se la dose di metadone assunta è al di sotto della soglia di tolleranza ed al di sopra di quella di dipendenza dai narcotici, il soggetto non esperimenta né euforia né sintomi di astinenza. Molto spesso questi soggetti sono clinicamente indistinguibili dalle persone che non usano narcotici, in quanto non hanno né i sintomi positivi né quelli negativi dell'utilizzo della sostanza.
L'inizio di un trattamento con metadone ha proprio questo obbiettivo. Utilizzare una dose di narcotico che blocchi i sintomi di astinenza, ma che non renda il paziente né euforico né sedato. Questo obbiettivo è demandato ad un medico esperto nell'uso delle sostanze stupefacenti. In genere occorrono dai 30 ai 40 mg di metadone assunti una sola volta ogni 24 ore, ma questa dose può variare in funzione del grado di tolleranza; nella nostra esperienza personale abbiamo dovuto somministrare anche 100mg di metadone, il primo giorno di trattamento, per controllare i sintomi conclamati dell'astinenza (2). Poi inizia il trattamento vero e proprio: la riabilitazione psicosociale del paziente o dopo disintossicazione o durante il mantenimento metadonico.
Per comprendere i rischi o i benefici a cui il soggetto trattato con metadone va incontro occorre, dunque, tenere presente sempre i due livelli che abbiamo definito. Se noi utilizziamo un dosaggio di metadone che è al di sopra del livello di tolleranza del paziente noi provocheremo euforia nel paziente e manterremo uno stato di alterata percezione della realtà, ma se noi scenderemo al di sotto del livello di dipendenza il paziente non avrà nessun beneficio dalla somministrazione di metadone e correrà, in pratica, gli stessi rischi di quando è nella strada (uso di eroina e metadone, rischio di overdose, rischio di abuso di altre sostanze per cercare di eliminare il «craving» o fame per i narcotici, rischio di malattie trasmesse per i.v.) (5).
Il metadone può essere utilizzato o per disintossicare il paziente o per effettuare un programma di mantenimento. Se la condizione clinica permette di disintossicare il paziente potremmo ridurre gradualmente il metadone, a scalini di 5 o 10mg ogni 7-15 giorni senza oltrepassare in un senso o nell' altro i due famigerati livelli. In questo modo in circa 30 giorni la dipendenza fisica di un paziente può essere eliminata senza che il soggetto esperimenti mai sintomi di astinenza. Se esperimenta sintomi di astinenza o
voglia incoercibile per la sostanza il programma di riduzione del farmaco va interrotto e ripreso quando la situazione psicofisica del paziente si è normalizzata. Ridurre il metadone e proporre farmaci sintomatici come le BDZ è pratica deleteria. Il problema dei pazienti disintossicati è che invariabilmente ritornano prima (giorni) o poi (mesi) all'uso dell'eroina.
Ma la cosa più preoccupante è che durante la disintossicazione la tolleranza agli oppiacei si riduce progressivamente e così il pericolo di overdose con un uso supplementare di eroina è molto alto. In altre parole, molto spesso durante un programma di disintossicazione di un soggetto tossicodipendente da eroina si assiste alla progressiva diminuzione della tolleranza agli
oppiacei e alla contemporanea insorgenza di una appetizione verso la sostanza che conduce ad un uso saltuario di eroina. Il ricorso ad una dose uguale a quella assunta nel periodo di tolleranza potrà, in questo caso, provocare una «overdose» (3). Naturalmente il pericolo di overdose è massimo in soggetti «drug-free». Questo è il motivo per cui spesso gli eroinomani muoiono di overdose quando per l'opinione pubblica sono «guariti» dalla tossicodipendenza, ossia quando escono dall'ospedale disintossicati o terminano un programma residenziale in comunità terapeutica.
Il mantenimento metadonico non ha un termine di durata, in teoria un paziente può assumere un dosaggio di metadone stabile per tutta la vita. La costanza della somministrazione manterrà la concentrazione del metadone fra i due livelli sopra ricordati, così il soggetto non sperimenterà euforia e non avrà sintomi d'astinenza. Questo è un paziente che l'opinione pubblica tende a considerare, paradossalmente, «uno zombie». Ovviamente in ogni momento si potrà iniziare un programma di disintossicazione come descritto sopra. Una domanda fondamentale sul mantenimento metadonico è la seguente: perché mantenere un paziente a metadone? La risposta è molto semplice: è stato dimostrato empiricamente in tutto il mondo che i pazienti riescono a non usare più eroina e riprendono, a volte per la prima volta dopo anni, una vita socialmente utile e produttiva. Questo è l'unico razionale del trattamento con metadone (proibizionismo o antiproibizionismo non centrano un bel niente!). Un'altra domanda è: quanto a lungo occorre trattare il paziente? La risposta è ancora semplice ed empirica: fintantoché i risultati del trattamento sono buoni.
Infine, quale è il rapporto fra dosaggio di metadone e sicurezza del paziente, è vero che i dosaggi alti sono pericolosi? Per molti operatori lo sono e così la tendenza è a prescrivere la dose minore possibile di metadone. Il problema è che se la dose non è efficace a permettere l' allontanamento dall'eroina e ad intraprendere un programma socio-riabilitativo, allora è inutile. Occorre sostituire la dizione basse o alte dosi con la dizione «dose adeguata» . Ma è proprio la necessità di proteggere il paziente che fa propendere per dosi relativamente alte. Infatti la figura 1 spiega come la tolleranza non sia solo proporzionale alla dose di farmaco assunta. Un paziente mantenuto a 30-40 mg di metadone non ha grosse difficoltà, con piccole dosi di eroina o di un altro narcotico
a superare il livello di tolleranza ed a sperimentare euforia. Se la dose di mantenimento è maggiore la quantità di narcotico da utilizzare per sperimentare l'euforia deve essere molto più elevata, non in modo proporzionale, ma esponenziale. Così è difficile che il paziente mantenuto a dosaggi relativamente alti di metadone riesca a reperire la quantità necessaria di un altro stupefacente. Se al termine euforia sostituiamo il termine «azione sui centri del respiro» capiremo che avere una overdose in un soggetto mantenuto intorno ai 100 mg è virtualmente impossibile. Nel SerT di Cagliari diretto dal Prof. Alessandro Tagliamonte negli anni 80, a seguito dell'uso di questa filosofia le morti per overdose erano sconosciute, mentre nelle altre città italiane non si poteva proprio dire la
stessa cosa (1).
In conclusione per l'uso del metadone vale spesso la sarcastica sentenza che non sempre chi ti da una mano (disintossicandoti) fa il tuo bene, e non sempre chi «ti intossica» col metadone fa il tuo male. Ma, al di là del sarcasmo, una cosa è certa, conoscendo questi semplici principi di farmacologia del metadone, ognuno di noi potrà lavorare meglio nell' assistenza ai tossicodipendenti da eroina.
Bibliografia
1. Bargigli A.M. (1995): Risultati dello studio multicentrico sulla mortalità dei tossicodipendenti in Italia. Mortalità dei tossicodipendenti in Italia . Associazione Italiana di Epidemiologia, Domus de Maria (CA).
2. Maremmani I. (1997): Average Methadone Dose for Stabilizing Heroin Addicts with Psychiatric Comorbidity. AMTA Conference, Chicago, Illinois, USA.
3. Maremmani I., Castrogiovanni P. (1992): Disturbi da uso di sostanze. Disturbi da Oppiacei ed Analgesici. In G.B. Cassano, A. D'Errico, P. Pancheri, L. Pavan, A. Pazzagli, L. Ravizza, R. Rossi, E. Seraldi e V.Volterra (a cura di): Trattato Italiano di Psichiatria. Volume 2 (43).Masson, Milano. pp. 1148-1161.
4. Maremmani I., Guelfi G.P. (1996): Metadone. Le ragioni per l'uso. Pacini Editore, Pisa.
5. Maremmani I., Lamanna F., Cassano G.B. (1996): La cura della tossicodipendenza come prevenzione dell'AIDS. GIAIDS 7 (2): 33-39.
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