IL MEDICO DI FIDUCIA E DI FAMIGLIA NELLA LA CURA DELLA TOSSICODIPENDENZA DA EROINA.

   
   

La vecchia legislazione sulle droghe, la legge 685/75, prevedeva che la tossicodipendenza da eroina potesse e dovesse essere curata in qualsiasi presidio medico presente sul territorio, e prevedeva inoltre, che chiunque si sottoponesse ad un piano terapeutico aveva il diritto di scelta dei medici e dei luoghi di cura. Sebbene la legge contenesse queste ampie possibilità, lo scenario di risulta era di poco diverso da quello successivamente prodotto dalla nuova legge, in quanto l’attività dei medici al di fuori dei servizi specifici, che intanto andavano strutturandosi, era del tutto irrilevante. I pochi medici che intrapresero queste iniziative dovettero in molti casi subire controlli, inquisizioni, denunce e, in qualche caso, condanne. Famosi i casi del dottor Stoico, denunciato e perseguitato da un intero paese per avere prescritto Temgesic a sua figlia e ad altri tossicodipendenti, e quello della dottoressa Tretola di Firenze, rea di avere prescritto più morfina di quanto era stato stabilito, del tutto illegalmente, da un comitato autoproclamatosi di esperti, che aveva la pretesa di regolare l’uso dei farmaci sostitutivi in mano medica.
La legge Jervolino - Vassalli, che subentrò nel 1990 alla precedente, recepiva le spinte della parte più illiberale e meno professionalizzata degli operatori di questo settore e, fra le altre cose, riservava al ministro della sanità la facoltà di dettare limiti all’uso dei farmaci sostitutivi. Il ministro lo fece emanando il decreto 445/90 nel quale si stabiliva che, chi voleva intraprendere un programma di cura che prevedesse la farmacoterapia, ma sol-tanto quella con farmaci agonisti, doveva farlo solo ed esclusivamente nel presidio medico pubblico del territorio di residenza, indifferentemente dal fatto che tale presidio esistesse veramente, e alla successiva condizione necessaria che quel presidio volesse e sapesse erogare un tale programma terapeutico. Il ministro inserì alcune altre norme secondo le quali ogni presidio pubblico era obbligato a mettere a disposizione, fra le altre modalità, anche i programmi con farmaci sostitutivi, per i quali, però, doveva essere utilizzato esclusivamente il metadone. Si sa bene che poi moltissimi Ser.T. non ottemperarono a quegli obblighi, e tuttora ce ne sono che non lo fanno o che lo fanno in modo assolutamente improprio. Il decreto 445/90 conteneva un’altra norma secondo la quale chi intraprendeva una terapia con metadone non poteva farlo al di fuori del Ser.T. ubicato nella sua stessa residenza, nel senso che non avrebbe mai più disposto personalmente del farmaco, né per esigenze di lavoro o di viaggio, né per semplice opportunità terapeutica. Veniva così a crearsi una popolazione di pazienti di fatto detenuta sul territorio, impossibilitata ad allontanarsi da una zona entro la quale il loro Ser.T. poteva essere raggiunto, e discriminata da qualsiasi altro paziente sottoposto a qualsiasi altra modalità di cura. Ci furono reazioni a questo vero e proprio l'embargo sulla cura, ma i funzionari del Ministero della Sanità sostennero che le preoccupazioni non avevano ragione di essere, dal momento che il decreto stabiliva anche che la cura metadonica doveva essere disponibile su tutto il territorio nazionale, e per tutto l’arco delle 24 ore. Ed era vero, il decreto conteneva tali norme, ma era altrettanto vero che si trattava di quella parte di normativa che non sarebbe mai stata osservata, anche perché priva di sanzioni per gli eventuali trasgressori, che avrebbero potuto essere perseguiti soltanto nell’ambito di una più che generica l'omissione di atti di ufficio. Non risulta a tutt’oggi che qualche responsabile Ser.T. fra quelli che non mettono a disposizione la terapia metadonica, o fra tutti gli altri che non hanno attivato il presidio medico sul territorio per 24 ore, siano stati denun-ciati e perseguiti perché contravvenenti a tali obblighi, seppure stabiliti inequivocabilmente dalla legge. Per questo si fece il Referendum che, appunto, riguardò fra le altre cose, anche l’eliminazione della facoltà del Ministro di dettare limiti all’uso dei farmaci sostitutivi in mano medica. Il 18 Aprile 1993 le limitazioni caddero ed ogni medico tornò ad essere potenzialmente il titolare di una terapia farmacologica sostitutiva per i pazienti tossicodipendenti. Caddero anche le limitazioni per i servizi pubblici, e nei programmi metadonici si poté reintrodurre la fondamentale struttura terapeutica riabilitante dell’affidamento del farmaco ai pazienti che lo meritano, struttura che il decreto 445 ave-va depennato. E per quanto ci risulta, in buona parte dei servizi pubblici che aderiscono al Coordinamento Nazionale per il Miglioramento dei Servizi Chemioterapici (CN-MSC) e all’Italian Methadone Advisory Group (IT.MAG), e gradualmente anche in altri presidi, l’affidamento è tornato ad essere una pratica comune.
Restano tuttavia alcuni limiti presenti nella legge, in quanto il metadone, anche se nella terapia classica per gli eroinomani non produce effetti narcotici, è uno stupefacente, e come tale, richiede attenzione e procedure particolari per essere prescritto o distribuito.
Tornando alle possibilità offerte ai medici non inseriti nei Ser.T., va subito chiarito che la loro rinnovata possibilità di intraprendere legittimamente una terapia farmacologica sostitutiva per i tossicodipendenti, non significa affatto che lo sappiano o che lo debbano fare. In genere, un medico responsabile limita la sua opera ad azioni che rientrano nel suo campo di esperienza, e riferisce agli specialisti ogni altra pratica che travalica le sue conoscenze.
Al momento, per la tossicodipendenza, il medico in genere, o quello di medicina generale, se non è lui stesso al corrente della pratica clinica, si trova nella stessa identica situazione di quando per patologie specifiche riferisce i suoi pazienti allo specialista, limitandosi poi a compilare le ricette consigliate, a somministrare, quando sia il caso, direttamente i farmaci ed a seguire poi personalmente il decorso.
Egli vede il paziente routinariamente, periodicamente lo rinvia allo specialista, ed assume in pieno la titolarità del processo terapeutico.
Il quadro può attualmente essere trasferito alla tossicodipendenza. Il medico, se non sa egli stesso come predisporre un piano terapeutico che preveda la prescrizione, la somministrazione o l’affidamento del farmaco sostitutivo, può rivolgersi al Ser.T. competente dove si suppone che ci siano degli esperti, nonostante che l’esperienza di questi anni ha dimostrato che in questo settore specifico molti medici non hanno sufficienti informazioni o, peggio, operano su schemi esclusivamente ideologici.
La ricerca scientifica e le esperienze cliniche sono peraltro ben consistenti e non dovrebbero esserci difficoltà da parte del medico che veramente lo voglia, di accedere alle informazioni necessarie.

Sintesi dei principi normativi

Vediamo quali sono gli strumenti che il medico ha a disposizione per intraprendere una terapia farmacologica sostitutiva ad un tossicodipendente, ed in sintesi, le disposizioni che debbono essere osservate, contenute nella legge 162/90, poi ricompresa nel Testo Unico, DPR 9.10.1990, N. 309.

Articolo 120, comma 4.
"Gli esercenti la professione medica che assistono persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, possono (ma non necessariamente debbono - ndr), in ogni tempo, avvalersi dell'ausilio del servizio pubblico per le tossicodipendenze..
Ogni esercente la professione medica, quindi, come già abbiamo detto, può assistere un tossicodipendente con o senza il supporto del Ser.T., al quale ha facoltà di rivolgersi in ogni tempo, sia per consulenza che per utilizzare risorse che egli non ha, e delle quali il suo paziente può avere bisogno.
Tralasciando quanto disposto dall'articolo 121 in tema di segnalazioni al servizio pubblico, perché trattasi di una disposizione abrogata dal Referendum, il ruolo del medico esterno al servizio pubblico è richiamato successivamente nell'articolo 122, comma 1, dove si dispone che:

 "Il servizio pubblico per le tossicodipendenze, compiuti i necessari accertamenti e sentito l'interessato, che può farsi assistere da un medico di fiducia autorizzato a presenziare anche agli accertamenti necessari, definisce un programma terapeutico e socio riabilitativo personalizzato.........".

Un ruolo tutt'altro che marginale, se si considera il fatto che al servizio pubblico non sempre un assistito riesce a realizzare tutto quanto avrebbe il diritto di ottenere, e la tutela di un medico di fiducia può contribuire a migliorare gli standard di assistenza. Si tratta di norme generalmente neglette, che vedono da un lato i servizi pubblici tendere a chiudersi ai contributi esterni, e dall'altro una classe medica che non ha mostrato interesse per questi pazienti.
Il ruolo del medico di fiducia (e quindi non solo di quello curante) è richiamato anche dal successivo DM 30/11/1990, n. 444, che istituisce i Ser.T., all'articolo 2, comma 6, che recita:

"I SERT assicurano la loro collaborazione ai medici di fiducia delle persone assistite, ai sensi dell'art. 95, comma 4, e dell'art. 97, comma 3."

Gli articoli di riferimento 95 e 97 erano contenuti nella precedente legge 685/75 e sono stati sostituiti dai già citati articoli 120 e 122 del DPR 309/90.
Il diritto del tossicodipendente di rivolgersi al servizio pubblico e di chiedere di essere assistito con la partecipazione del suo medico di fiducia è, dunque, stabilito dalla legge in maniera molto chiara, come è stabilito in modo altrettanto chiaro che egli può farsi assistere anche dal solo medico di fiducia. Questi a sua volta può richiedere, in ogni momento, la cooperazione del SERT, oppure può limitarsi all'assistenza diretta del suo paziente. E' ovvio che in ogni caso i pazienti hanno il diritto di mantenere l'anonimato e che eventuali segnalazioni al servizio pubblico, che restano consigliate, dovrebbero essere fatte soltanto ai fini statistici.
Riassumendo, il medico esterno al Ser.T., sia esso il medico curante o quello di fiducia, può assumere ruoli diversi:
 

  • Assistere il paziente durante la definizione del piano terapeutico originario al SERT, e quindi anche ogniqualvolta quel piano viene modificato. In questo caso il piano terapeutico è e resta del Sert, ma deve essere concordato col medico di fiducia;
  • assistere il paziente chiedendo la collaborazione del SERT, che deve fornirla per legge. Il piano terapeutico è del medico. Il SERT può essere utilizzato per le analisi delle urine, per colloqui psicologici integrativi, per piani sociali, e per tutte quegli elementi dei quali il medico privato non dispone;
  • assistere direttamente il paziente e limitarsi a segnalare il caso in modo anonimo e ai soli fini statistici;
  • assistere il paziente rivolgendosi ad un qualsiasi specialista per consulenza e per collaborazione.

A proposito delle ipotesi di assistenza diretta va detto che, se da un lato è vero che ogni medico ha la facoltà di assistere un tossicodipendente, dall’altro non significa che, a differenza dei medici servizi specifici, necessariamente lo debba fare. Un medico generalmente si muove all'interno di pratiche che ben conosce e se volesse avventurarsi nella clinica della tossicodipendenza senza una specifica preparazione rischierebbe di fare più danni di quanti ne farebbe facendo un'operazione chirurgica che non sa fare e per la quale non ha gli strumenti adeguati. La cura dei tossicodipendenti non è difficile, ma richiede comunque alcune necessarie consapevolezze, unitamente a una non indifferente capacità di relazione con i pazienti, fra i più difficili che si conoscano specialmente per quanto riguarda il grado di "compliance".
Per esempio, se un medico si limitasse a prescrivere metadone al suo assistito una volta alla settimana, cosa perfettamente legittima, e non mettesse in pratica tutti quegli accorgimenti dettati dalla pratica clinica che sono indispensabili per la buona riuscita di un programma metadonico, egli non farebbe terapia. La sua pratica potrebbe al massimo essere inquadrata fra le iniziative per la riduzione del danno, considerando che, in fondo, il metadone viene generalmente utilizzato al posto di una somministrazione di droga sporca. Ma quel medico non farebbe niente che potesse in qualche modo essere inquadrato nel concetto di "terapia".
La pratica clinica degli ultimi 30 anni ha suggerito che il metadone prescritto dal medico dovrebbe essere somministrato nell'ambulatorio, oppure affidato per uno o più giorni (la legge italiana limita i giorni a 8) al paziente secondo criteri clinici, che seppure semplici, devono essere conosciuti.
In sostanza, un medico esperto che conosce la pratica clinica dovrebbe in un primo tem-po somministrare lui stesso il farmaco nel suo ambulatorio, per poi procedere ad un affi-damento gradualmente sempre più lungo, fino a raggiungere la quantità necessaria per otto giorni di cura. Un problema che non tutti i medici si sentono di affrontare! Ci sono poi i problemi dell’induzione, della stabilizzazione, degli effetti collaterali, del counseling, e molti altri.
Tutto ciò premesso, è più che evidente che il panorama nazionale sulle tossicodipendenze cambierebbe drasticamente in meglio se tutti, o perlomeno molti medici assumessero l'onere di prepararsi e di intraprendere in prima persona la cura dei loro assistiti tossicodipendenti, o almeno di farsi carico della loro tutela presso il servizio pubblico.
Le modalità di prescrizione del farmaco sostitutivo, (attualmente solo il metadone), sono contenute nell’articolo 43 del citato Testo Unico e che riportiamo integralmente:

1. “I medici chirurghi ed i medici veterinari, che prescrivono preparazioni di cui alle tabelle I, II, e III previste dall’articolo 14, debbono indicare chiaramente nelle ricette previste dal comma 2, che devono essere scritte con mezzo indelebile, il cognome, il nome e la residenza dell’ammalato al quale le rilasciano ovvero del proprietario dell’animale ammalato; segnarvi in tutte lettere la dose prescritta e l’indicazione del modo e dei tempi di somministrazione; apporre sulla prescrizione stessa la data e la firma.
2. Le ricette per le prescrizioni delle preparazioni indicate nel comma 1 debbono essere staccate da un ricettario a madre figlia e di tipo unico, predisposto e distribuito dal Ministero della sanità e distribuito, a richiesta dei medici chirurghi e dei medici veterinari, dai rispettivi ordini professionali, che all’atto della consegna, devono far firmare ciascuna ricetta dal sanitario, il quale è tenuto a ripetere la propria firma all’atto della consegna al richiedente.
3. Ciascuna prescrizione deve essere limitata ad una sola preparazione o ad un dosaggio per cura di durata non superiore ad otto giorni, ridotta a giorni tre per le prescrizioni ad uso veterinario. La ricetta deve contenere, inoltre, l’indicazione del domicilio e del numero telefonico del medico chirurgo o del medico veterina-rio a cui è rilasciata.
4. Di ciascuna prescrizione il medico chirurgo o il medico veterinario deve conservare, per la durata di due anni dalla data del rilascio, una copia recante ben visibile la dicitura: copia per documentazione

5. Salvo che il il fatto costituisca reato, chiunque viola una o più delle disposizioni del presente articolo è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a un milione.
6. Le prescrizioni a persone assistite dal Servizio sanitario nazionale debbono essere rilasciate in originale e copia. Su tale copia il medico deve apporre in caratteri chiari ed indelebili la dicitura copia per l’unità sanitaria locale

Il medico ha anche un’altra possibilità. Egli può approvvigionarsi direttamente alla farmacia per il fabbisogno del suo ambulatorio come dispone l’articolo 42:

1. I direttori sanitari di ospedali, ambulatori, istituti e case di cura in genere, sprovvisti di servizio di farmacia interna, e titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie possono acquistare dalle farmacie preparazioni comprese nelle tabelle nelle tabelle I, II, III e IV di cui all’articolo 14, nella quantità occorrente per le normali necessità degli ospedali, ambulatori, istituti, case di cura, e gabinetti predetti. La richiesta per l’acquisto di dette preparazioni deve essere fatta in triplice copia. La prima delle predette copie rimane per documentazione al richiedente; le altre due devono essere rimesse al farmacista, il quale ne trattiene una per il proprio discarico e trasmette l’altra alla competente autorità sanitaria.
2. Salvo che il fatto costituisca reato, l’acquisto delle predette preparazioni in misura eccedente in modo apprezzabile quelle occorrenti per le normali necessità è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a un milione.
3. I direttori sanitari ed i titolari di gabinetto di cui al comma 1 debbono tenere un registro di carico e scarico delle preparazioni acquistate, nel quale devono specificare l’impiego delle preparazioni stesse.
4. Detto registro deve essere vidimato e firmato in ciascuna pagina dall’autorità sanitaria locale.

In tal caso egli somministrerà direttamente il farmaco nel suo ambulatorio, o lo affiderà secondo i criteri clinici raccomandati.

A completamento di questo stralcio sintetico di normativa deve essere citato il DM 23.3.1995 (G.U. 3.4.95) che, modificando la farmacopea, stabilisce all’articolo 1 che:

1. Nella tabella 2 della vigente edizione della farmacopea ufficiale concernente le sostanze medicinale di cui le farmacie debbono essere provviste obbligatoriamente, è inserita la voce seguente: Metadone cloridrato, sotto forma di sciroppo per uso orale.

Non trascurabile il richiamo alle attività del medico esterno ai SERT contenuto nella circolare ministeriale 30 SETTEMBRE 1994, N. 20, avente per oggetto: Linee guida per il trattamento della dipendenza da oppiacei con farmaci sostitutivi:

"Per quanto concerne i SER.T, è appena il caso di sottolineare il fondamentale ruolo che essi sono chiamati a svolgere, anche quali organismi di consulenza dei medici di fiducia, negli accertamenti preliminari degli stati di tossicodipendenza e delle condizioni cliniche dei soggetti, nella definizione dei programmi, nella esecuzione dei trattamenti psicologici e socio-riabilitativi concomitanti a quelli farmacologici, nell'attuazione delle procedure di controllo."

 

Tutto quanto sopra è un estratto delle norme essenziali attualmente vigenti. Ogni regione, poi, ha dettato norme di attuazione che non dovrebbero, o che comunque non possono, essere contrarie o restrittive della normativa statale.
Il medico che intendesse dedicarsi alla cura dei tossicodipendenti, dopo aver preso visio-ne dei materiali di riferimento disponibili sull’argomento selezionando accuratamente quelli di assoluta attendibilità scientifica, farebbe bene a leggere tutta la normativa statale e regionale, e a comportarsi di conseguenza.