I GRUPPI DI INCONTRO CON LE FAMIGLIE |
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a cura della Dott.ssa Valentina Torri (Psicoterapeuta) | |||||||
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La simbiosi e il rapporto di “odio-amore”
che si instaura tra madre e figlio tossicodipendente, tanto frequente
da poter essere definito tipico (ancor più frequente tra madre
e figlio maschio), è il dato che in parte collego proprio al ruolo
più emotivo-passionale-comunicativo che riveste la madre. Spesso
il tossicodipendente guarda alla madre come all’amico/nemico che
sempre lo attacca ma che comunque sempre lo riaccoglie e lo protegge.
Sovente osservando le diadi madre-figlio sembra di avere di fronte una
coppia di innamorati che si amano ma non trovano più da tanto tempo
il giusto modo di comunicare; una coppia che non si arrende ma che al
contempo dice di aver perso le speranze e non osa, non vuole o non sa
chiedere aiuto. Il padre/marito è come se (inconsapevolmente) si
ritrovi messo da parte ad osservare questa “coppia”, vivendosi
emozioni quali la frustrazione, il dolore, la rabbia lasciandole spesso
inespresse o agendole istintivamente sottoforma di comportamenti controllanti,
punitivi, accusatori o al contrario di distacco. La presenza nel gruppo
dei padri sarebbe stata quindi a mio avviso importante proprio per poter
elaborare insieme determinati comportamenti e atteggiamenti nocivi e logoranti
accumulati negli anni, rigidità di pensiero ed eventuali false
credenze; valutare insieme possibili strategie di azione e reazione alla
tossicodipendenza, facendo riscoprire alla coppia la voglia e il coraggio
di lottare a quattro mani (sei mani, contando quelle indispensabili del
figlio), sentendosi solidi alleati. Persone con le quali aprirsi è stato più facile in quanto provenienti da percorsi di eguale sofferenza e problematicità, con le quali meno difficile è stato aprire le porte della propria vita privata, forse perché meno spaventate dal peso del pregiudizio altrui che nelle famiglie dei tossicodipendenti è spesso schiacciante e bloccante. Riduzione del danno quindi nel senso che, anche se non è frequentando loro il gruppo che il loro figlio smette di abusare di sostanze, è comunque per queste donne divenuto importante avere un luogo sicuro dove poter essere se stesse e rimettersi in discussione: un punto di riferimento in un percorso di vita tanto impervio e devastato. L’idea di attivare un gruppo-genitori è nato proprio con l’intento di offrire un sostegno utile per uscire dall’isolamento e dall’impotenza; offre uno spazio di confronto/comprensione fra persone che vivono il medesimo problema; creare relazioni; promuovere una maggior consapevolezza ed una miglior comunicazione all’interno di ogni nucleo familiare come ulteriore risorsa nella cura della tossicodipendenza. Il gruppo genitori può essere una concreta esperienza
di incontro, di integrazione fra formale ed informale, fra tecnicismo
e umanità, che permette a chi partecipa di passare dalla paura,
dalla diffidenza, dalla vergogna ad un clima di solidarietà, vicinanza
ed intimità. Al fine di tutto ciò auspicavo all’inizio
di tale esperienza la presenza di più figure familiari oltre che
delle madri, ma come già sottolineato in precedenza al momento
ciò non è accaduto. Spero nel futuro possa cambiare la situazione. Questo nucleo, insieme ad altri nuclei ed anche singolarmente, intraprende parallelamente al figlio un percorso psico-sociale. Il figlio e la famiglia percorrono due binari di crescita che poi si uniscono in sedute o gruppi di incontro misti genitori/figli, dove avranno la possibilità di confrontarsi e ritrovarsi, nella netta consapevolezza di rimanere due entità separate ma pur sempre parti di uno stesso sistema. Fondamentale per poter risanare o perlomeno modificare i rapporti deteriorati, devastati o invischiati formatisi nel corso di una tossicodipendenza, è lavoro in parallelo svolto su figli e genitori; questo tipo di lavoro è molto difficoltoso realizzarlo all’interno di strutture come quella in cui lavoro: qui i ragazzi non sono residenti e non hanno da contratto, e come loro neanche le famiglie, l’imposizione di frequentare gruppi o di intraprendere un percorso psicologico se non richiesto dall’interessato (magari!) o se non imposto dalle prefetture o da programmi alternativi al carcere. Spesso quindi la madre inizia il percorso ma il figlio no, o viceversa il figlio intraprende un percorso psicologico-riabilitativo ma esclude da questo i propri familiari o essi spontaneamente non si presentano in struttura. Non è detto che in futuro io non riesca a dar vita ad un gruppo di incontro per i nostri utenti, ma trovo in questa direzione la difficoltà di riunire insieme tossicodipendenti che oltre ad avere età assai diverse (ma questo non è un problema) arrivano qui con l’unico scopo di ricevere il farmaco, che, seppur indispensabile, spesso non basta per intraprendere un percorso di cambiamento. Sottolineo un dato interessante ai miei occhi: i figli delle poche mamme del gruppo (ad oggi solo 5 da un iniziale numero di 9) ogni qualvolta si avvicina il giorno dell’incontro, chiedono a me se la propria madre sarà presente, o si propongono di ricordarglielo loro stessi. Forse una loro speranza di poter vede cambiare qualcosa? Forse un loro bisogno di sentirsi in qualche modo ancora importanti per la propria famiglia? L’idea di mantenere ancora un filo di comunicazione anche tramite terzi?Lascio a chi legge la possibilità di provare a darsi una risposta.
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